Di orologio biologico si parla spesso, e sempre al femminile. È ormai nota la relazione inversamente proporzionale tra età e fertilità nelle donne ed è certamente vero che questa è una delle principali cause che possono impedire una gravidanza. Quello che si dice meno frequentemente, però, è che anche aumento dell’età e fertilità maschile non vanno d’accordo: l’invecchiamento del partner, infatti, gioca un ruolo importante non solo per quelle coppie che cercano di concepire naturalmente, ma anche per chi si sottopone a un trattamento di PMA. Vediamo insieme qual è il rapporto tra età e fertilità maschile e come può influenzare le capacità riproduttive della coppia.
Età e fertilità maschile: cosa cambia?
Ci sono moltissimi esempi, anche piuttosto famosi, di uomini diventati padri in età avanzata. Questa, però, non è la normalità e anche se il declino dovuto al rapporto tra età e fertilità maschile è meno evidente di quello che interessa le donne, le ricerche scientifiche dimostrano che l’inesorabile ticchettio dell’orologio biologico colpisce anche gli uomini.
Secondo uno studio del Beth Israel Deaconess Medical Center e dell’Harvard Medical School di Boston, addirittura l’età del partner maschile ha un «impatto sostanziale» sulla capacità di avere figli ed è pertanto necessario valutare non solo l’età della donna – la cui fertilità inizia a declinare progressivamente dopo i 35 anni – ma anche quella dell’uomo.
Non ci sono studi concordi su quando si possa iniziare a parlare di “età maschile avanzata”: la maggior parte degli studiosi la indicano intorno ai 50-55 anni, ma alcune problematiche sono state riscontrate già a partire dai 40.
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In generale, l’invecchiamento danneggia la fertilità influenzando principalmente la quantità e la qualità dello sperma. Una ricerca ha infatti calcolato che, rispetto a un uomo di 30 anni, a 50 anni
- il volume dell’eiaculato si riduce dal 3% al 22%, a causa dell’invecchiamento delle vescicole seminali;
- la concentrazione di spermatozoi all’interno del liquido seminale diminuisce del 37%;
- la motilità degli spermatozoi diminuisce dal 4% al 18%.
Le alterazioni dei parametri del liquido seminale non solo possono rendere più difficile il concepimento, ma possono tradursi in un aumento dei tassi di aborto nel primo trimestre (in particolare in quelle coppie in cui l’uomo ha più di 50 anni e la partner femminile più di 35), e in un incremento significativo delle patologie che possono presentarsi durante la gravidanza (come, ad esempio, il diabete gestazionale).
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Età e fertilità maschile: i rischi per il nascituro
L’età avanzata del padre sembrerebbe essere anche associata all’insorgenza di patologie nel bambino, tra cui l’autismo, psicosi e disturbi bipolari, dovute a mutazioni genetiche che hanno luogo durante la spermatogenesi. Secondo uno studio svedese i bambini nati da padri di età superiore a 45 anni hanno 1,76 volte più probabilità di avere l’autismo rispetto a bambini nati da padri di età compresa tra 20 e 24 anni. Dati che sembrano rafforzati da uno studio successivo, secondo cui «i bambini [nati da padri] di età pari o superiore a 50 anni hanno il doppio delle probabilità di avere l’autismo di quelli con padri sotto i 30 anni. Il rischio di avere un bambino con autismo è quattro volte maggiore per gli uomini di età superiore ai 55 anni», anche se ci sono ulteriori variabili che entrano in gioco e che devono essere approfondite.
Età e fertilità maschile nella PMA
Ma non è finita qui: il binomio età e fertilità maschile può influenzare anche i trattamenti di fecondazione assistita. Una scarsa qualità dello sperma, infatti, peggiora la qualità degli embrioni prodotti. Secondo uno studio «all’aumentare dell’età dell’uomo crescono esponenzialmente le probabilità di ottenere “nessuno o un solo embrione di tipo A”. Gli embrioni di questo gruppo (esistono anche i B, C e D) sono quelli di ottima qualità che presentano la massima capacità di annidamento e dunque di portare a una gravidanza di successo».
Secondo lo studio già citato del Beth Israel Deaconess Medical Center e dell’Harvard Medical School di Boston, che ha analizzato più di 19.000 cicli di fecondazione in vitro in un arco di tempo di oltre 14 anni, l’età del partner influenzerebbe il successo della PMA soprattutto nel caso di partner femminile giovane. La ricerca ha infatti evidenziato che le donne nella fascia d’età 40-42 avevano il tasso di natalità più basso, e per queste donne l’età del partner maschile non aveva avuto alcun impatto. Per le donne più giovani, invece, l’età dell’uomo contava: le donne di età inferiore a 30 anni con un partner di sesso maschile di età compresa tra i 30 e i 35 anni avevano una probabilità del 73% di nascita dal vivo dopo fecondazione in vitro, una percentuale che scendeva al 46% quando l’uomo aveva un’età compresa tra i 40 e i 42 anni.
Questo è vero anche in caso di ovodonazione: «in generale, nelle coppie in cui il partner maschile ha più di 50 anni si assiste a una significativa diminuzione del tasso di fertilizzazione delle cellule uovo e del numero di embrioni che riesce ad arrivare allo stadio di blastocisti, mentre in caso di gravidanza aumenta significativamente il tasso di aborto e diminuisce quello dei nati vivi».