Ci siamo rivolti alla fecondazione assistita nel 2019, quando io avevo 29 anni e mio marito 31. Ci eravamo sposati 2 anni prima, già con la consapevolezza di dover affrontare un percorso di questo tipo poiché il mio compagno dieci anni prima aveva avuto un linfoma ed era stato sottoposto a terapie che potevano influenzare la sua fertilità. I medici erano stati lungimiranti ed avevano effettuato un prelievo con crioconservazione del liquido seminale.
Il tutto era stato fatto in una struttura pubblica di Roma e qui, nel relativo centro per la fertilità, abbiamo deciso di intraprendere la nostra strada alla ricerca di un bambino. È stata un’esperienza tragica.
Ho rischiato parecchio: andavo sempre vicino all’iperstimolazione. Stavo male. Ma era difficile parlare con qualcuno, non ti spiegavano mai nulla, non sapevi a chi rivolgerti per dubbi o difficoltà. La risposta era sempre la stessa: seguivano il protocollo.
Questo significava un approccio comune per tutti i casi, non personalizzato e quindi il pick-up ovocitario e il transfer dopo 3 giorni, alla cieca, come andava andava. O almeno questa era la sensazione per noi. Non ricordo quanti ovuli mi abbiano prelevato, credo 11, e mi è parso di capire che fossero di scarsa qualità, tutti, ma senza spiegarmi come e perché. E ovviamente non ci fu nessun impianto dell’embrione.
Subito dopo ci siamo rivolti al centro RAPRUI, di cui ci avevano parlato alcuni amici e l’approccio è stato totalmente diverso. Tutti cortesi e gentili, sempre disponibili a spiegare e a trovare la soluzione migliore per il nostro caso. Ci ha seguito la Dottoressa Monica Antinori insieme a Luca Muscatello per ciò che riguardavano le analisi ed i documenti.
Ho fatto tutta la procedura da capo, con una nuova stimolazione, ma prima hanno fatto riposare il mio organismo un mese, il tempo utile affinché tornasse il ciclo. Il transfer è stato fatto al quinto giorno con l’embrione in stadio di blastocisti. Un passaggio necessario poiché i miei ovociti, prodotti in quantità minore, non risultavano effettivamente di buona qualità. Con la dottoressa Monica, facendo delle indagini specifiche, si era evidenziato questo mio limite fisiologico. La gravidanza comunque andò in porto, ma dopo 6 settimane ho avuto un aborto spontaneo.
Un grande dolore, accentuato dal lockdown che nel frattempo ci ha obbligato a stare fermi per altri 5-6 mesi. In questo periodo ci siamo guardati intorno, verso altre strutture sanitarie specializzate in fertilità: un confronto che ci ha fatto comprendere come sotto tutti i punti di vista RAPRUI fosse la migliore soluzione. Non solo dal punto di vista della qualità professionale, ma anche dell’approccio umano.
Considerando i limiti della mia fertilità e parlando con la dottoressa Antinori abbiamo optato per l’ovodonazione. Il primo impianto non è andato bene, ma lei ci ha aiutato a non demordere e così, qualche mese dopo, abbiamo riprovato e finalmente tutto è filato liscio. È arrivato nostro figlio Alessandro!
Anche di fronte a tutte queste difficoltà da superare, l’approccio è stato diverso fin da subito, più preciso, personalizzato, non da protocollo, si è indagato a fondo sul mio problema, si è proceduto con le blastocisti per avere più probabilità di successo, tutti mi sono stati vicini. Anche durante il lockdown la dottoressa si collegava con me o mi scriveva messaggi per sapere come stavo dopo l’aborto. RAPRUI è stata la scelta giusta ed ora abbiamo preso un nuovo appuntamento per cercare una nuova gravidanza!