Tutto il percorso è cominciato nel lontano 2014 quando ho dovuto togliere le tube. Da molto piccola sono stata operata d’appendicite ma l’infezione purtroppo aveva intaccato irrimediabilmente anche le tube. L’ho scoperto solo a 36 anni e l’unica possibilità era attraverso la fecondazione assistita.
L’ostacolo da superare era solo meccanico e ci siamo affidati a un ospedale perché in quel momento erano molto brevi i tempi di attesa. Per ben tre volte in un anno e mezzo siamo passati attraverso la stimolazione ormonale, il prelievo degli ovuli e la fecondazione con tecnica ICSI. Abbiamo sempre prodotto dei buoni embrioni, apparentemente, ma nessuno di questi tre tentativi che sono concessi con il servizio sanitario nazionale hanno portato a delle beta positive.
La speranza, l’attesa, tutto quello che c’è dietro, il fallimento al primo tentativo l’avevamo messo in conto, il secondo è stato una batosta, al terzo eravamo disperati. È stato un duro colpo perché non avevamo neanche individuato quale fosse il problema.
Siamo andati da RAPRUI nel 2017 su consiglio di una coppia che era stata seguita da loro con successo. Vedendo le cartelle cliniche relative ai precendenti trattamenti la dottoressa Antinori aveva notato che gli embrioni impiantati non si erano sviluppati nei tempi giusti per cui almeno una prima risposta l’avevamo ottenuta.
Da qui lunghe serie di analisi e lunghe chiaccherate per decidere il percorso da seguire. Questa volta ho preferito evitare nuove stimolazioni e con ciclo spontaneo hanno prelevato tre ovuli ma nulla di fatto. Mi sono fatta coraggio e abbiamo cominciato la stimolazione, per avere più possibilità di ottenere l’ovulo giusto. Su sette quattro sono diventati embrioni e nei seguenti transfer ci si è accesa una lucina con delle beta positive ma erano basse.
L’evidenza che i miei ovuli non erano abbastanza sani è stato un duro colpo e per un anno ci siamo presi una pausa per capire se avevamo la forza di provarci un’ultima volta con l’eterologa. Siamo tornati da RAPRUI perché nonostante tutto avevamo grande fiducia in loro, ci hanno dato supporto emotivo e abbiamo sempre parlato tanto. Per fortuna non abbiamo gettato la spugna perché al primo tentativo con l’ovodonazione ci siamo riusciti. Alla vista di quelle beta così alte ci siamo messi a piangere dall’emozione.