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Una sfida contro ogni aspettativa

Ho conosciuto mio marito nel 2006, avevo 24 anni, da subito mi ha messo a conoscenza della sua sterilità. Ero consapevole che, nel caso in cui la storia fosse andata avanti, mi sarei dovuta sottoporre a trattamenti di fecondazione assistita per avere un figlio.

Dopo quattro anni la decisione di iniziare questo percorso. In Italia l’eterologa non era ancora legale per cui abbiamo preso contatti con una clinica di Barcellona, in Spagna, dove tante coppie andavano come “ultima spiaggia”. Eravamo pieni di entusiasmo, ma ben presto è andato via via scemando con il susseguirsi dei vari fallimenti.

Sono un’infermiera e in quel periodo lavoravo in ostetricia, quindi qualcosa ne capivo. Le beta erano positive ma basse, subito dopo si negativizzavano. Per capire il motivo di questi fallimenti ho richiesto esami più approfonditi, a volte suggerendo direttamente quali fare. In un primo momento mi hanno assecondata, ma dopo l’ennesima richiesta mi sono sentita dire: “Signora lei non ha nessun problema, non resta incinta perché è la sua natura”. Mi si è gelato il sangue! Cosa vuol dire “è la sua natura?”. Ci sono donne che restano incinta oltre i 40 anni, senza ovaie e senza ciclo, e io a 28 anni e senza problemi, no?

Avevamo tentato già 8 volte, partire per Barcellona e organizzare tutto in 48 ore era diventato estenuante. Oltre alla pressione psicologica, alle terapie e anche al fattore economico, io e mio marito eravamo stressati anche da chi ci stava intorno. Parenti e amici facevano domande, spesso inopportune, e dispensavano consigli da esperti tipo: “Te l’ho detto che non erano affidabili. Me lo sentivo che vi prendevano in giro”.

Ho deciso di tentare in Italia dove intanto era stata legalizzata la fecondazione eterologa. Abbiamo provato in tutti i centri vicini a casa, Palermo, Catania, Messina, ma per ognuno di loro c’era un problema, dal calcio basso al nodulo alla tiroide. Inconvenienti che nonostante fossero stati risolti non mi hanno portato una gravidanza.

Avevamo perso le speranze, eravamo distrutti psicologicamente. Un giorno mio marito è tornato a casa con un bigliettino in mano con un numero di telefono: “questo è il numero della dottoressa Antinori, non posso dirti chi me l’ha dato. Chiamala, fallo per me. Abbiamo consultato tanti medici, una in più che cambia”. Dopo averla chiamata siamo andati a Roma per la prima visita nel centro RAPRUI.

Mi hanno lasciata di stucco! Con una semplice ecografia hanno visto che sulle pareti del mio utero c’era un setto. Con tutta probabilità era questo che ostacolava l’attecchimento degli embrioni. Facendo un rapido calcolo questo tipo di ecografia me l’avevano già fatta una quindicina di ginecologi diversi, possibile che io abbia incontrato solo incompetenti?

Con la Dott.ssa Monica Antinori abbiamo deciso che sarebbe stato opportuno rimuovere il setto prima di procedere con la fecondazione. Mi ha organizzato l’operazione in una struttura convenzionata e poco dopo abbiamo iniziato la stimolazione. Anche questa volta si è conclusa con un fallimento.

La dottoressa ci ha contattati personalmente appena saputo il risultato delle beta, ci è stata molto vicina anche se in quei momenti ce l’hai col mondo intero e non vuoi parlare con nessuno. Lei con molta delicatezza ci ha detto: “capisco il momento, ma datemi un’altra possibilità, alla fine l’avete data a tutti i miei colleghi, perché a me no?” Io e mi marito pensavamo di sospendere tutto, eravamo troppo stanchi e demoralizzati. Ci abbiamo pensato un po’, ma abbiamo accettato la sfida della dottoressa Antinori ripromettendoci che sarebbe stato davvero l’ultimo tentativo.

Con zero aspettative a febbraio 2019 abbiamo iniziato l’ennesima terapia ormonale e a marzo il transfer a Roma. Nella sala operatoria della clinica, oltre a mio marito e alla dottoressa Antinori c’erano anche sua sorella Stella, che mi teneva la mano, e suo cognato, entrambi tecnici di laboratorio della RAPRUI. Ricordo che la dottoressa era tesissima, credo non abbia dormito tutta la notte. Tornati a casa ho seguito la terapia come da protocollo, ma il giorno dopo il transfer sono andata a lavorare pur avendo diritto a 15 giorni di malattia. Non li ho voluti, non volevo stare a casa, ero sicura che sarebbe andata come tutte le altre volte.

Due giorni prima delle beta eccoli la, puntuali come sempre i miei dolorini pre-ciclo. Il 21 marzo 2019, primo giorno di primavera, vado a fare le beta. Altro che primavera, il cielo era scuro, come me. Ho pensato che appena mi sarebbe arrivato via email il referto, ovviamente negativo, l’avrei girato alla dottoressa. Ero curiosa di sapere cosa mi avrebbe detto, cosa si sarebbe inventata.

Ma quando ho letto il risultato le beta erano 374!! Mai avuto un risultato del genere, non credevamo ai nostri occhi. Due secondi dopo aver inoltrato il messaggio alla dottoressa mi ha chiamata immediatamente dicendomi che era contentissima e che tutta la sua equipe stava festeggiando. A novembre è nata Anastasia, abbiamo scelto questo nome perché vuol dire risorta. Saremo per sempre grati alla dottoressa Monica non solo per averci aiutato a realizzare il nostro sogno, ma per averci aiutato a credere che potevamo riuscirci!

 

 

Foto di repertorio