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Dopo aver visto insieme il rapporto tra cancro e infertilità femminile e i modi in cui è possibile per le donne preservare la fertilità prima di sottoporsi alle cure, analizziamo come siano collegati tumori e fertilità maschile e quali strategie è possibile mettere in atto per non pregiudicare la capacità riproduttiva dei pazienti oncologici.

Tumori e fertilità maschile: perché sono legati?

Tumori e fertilità maschile medico

Parlando di tumori è fertilità maschile la prima, fondamentale, premessa da fare è che, diversamente da quanto avviene per le donne, nel caso maschile le capacità riproduttive possono essere danneggiate non solo dai trattamenti oncologici necessari per combattere la malattia ma anche dal tumore stesso, che talvolta può essere una condizione sufficiente per compromettere la qualità dello sperma. Secondo le stime, infatti, in circa il 40% degli uomini con linfoma di Hodgkin e in circa la metà di quelli che hanno sviluppato una neoplasia testicolare il numero degli spermatozoi è già patologicamente basso al momento della diagnosi. Inoltre, il cancro o le terapie non hanno effetto esclusivamente sulla cosiddetta impotentia generandi (infertilità) ma anche sull’impotentia erigendi: la disfunzione erettile.

Tumori e fertilità maschile: l’impotentia erigendi

La perdita della capacità erettile è molto frequente nel caso del tumore alla prostata, che colpisce sempre più spesso pazienti della fascia di età 45-50, e che quindi in molti casi non hanno ancora iniziato o terminato il proprio ciclo riproduttivo. La disfunzione erettile è legata alle difficoltà di operare il tumore senza toccare il fascio di nervi che regola lo stimolo dell’erezione: per questo, dopo tre mesi dall’asportazione del tumore sono ben otto su dieci gli uomini che soffrono di impotenza, e sei su dieci continuano ad avere problemi anche dopo un anno. Una situazione che è stata migliorata grazie all’avvento chirurgia robotica, soprattutto nei centri di eccellenza dove la funzionalità erettile viene mantenuta in oltre il 70% dei casi.

Anche in quei casi in cui è possibile riprendere l’attività sessuale, all’orgasmo non si assocerà una vera e propria eiaculazione, poiché l’intervento prevede l’asportazione della prostata e delle vescicole seminali che producono il liquido spermatico.

La chemioterapia, invece, da sola compromette raramente l’attività sessuale: la funzionalità delle cellule di Leydig (indispensabile per la produzione del testosterone e per una normale attività sessuale), è infatti molto più resistente agli effetti del trattamento.

>> Leggi anche – Infertilità maschile: quali sono le cause? <<

Tumori e fertilità maschile: quali trattamenti possono pregiudicare le capacità di procreare?

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Il primo approccio al trattamento dei tumori è quello chirurgico. In ogni caso, l’asportazione di un testicolo in sé non modifica la vita sessuale del paziente, se non per un lieve squilibrio ormonale che, nella maggioranza dei casi, è rapidamente compensato dall’attività del testicolo sano.

Un possibile esito della chirurgia, in particolare per la chirurgia della prostata, è l’insorgenza della cosiddetta “eiaculazione retrograda”: in questi casi l’emissione del liquido seminale avviene al contrario, non verso l’esterno ma verso la vescica. Questo tipo di patologia può svilupparsi anche in conseguenza della chirurgia della vescica, dell’uretra e più raramente del colon.

Tumori e fertilità maschile: gli effetti di chemioterapia e radioterapia

Sulla base della valutazione post chirurgica dell’estensione del tumore, lo specialista decide l’eventuale impiego di chemio e radioterapia. Queste terapie, però, agiscono in modo sistemico, colpendo non solo le cellule tumorali ma anche quelle che, come queste, si dividono rapidamente, tra cui gli spermatozoi, che possono quindi diventare bersagli della chemioterapia.

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Gli effetti della chemioterapia sulla fertilità maschile dipendono non solo dalla tipologia dei farmaci e dal loro dosaggio, ma anche dallo stato della fertilità prima delle cure e, come abbiamo visto, dall’influenza del cancro in sé. Una variabile determinante è il dosaggio totale: più è elevato, più aumenta il danno alle cellule che formano gli spermatozoi. Talvolta, però, anche dosaggi più bassi possono causare danni alla spermatogenesi: è il caso della combinazione di alcuni chemioterapici, che possono causare più frequentemente azoospermia.

Diversamente da quanto accade per la riserva ovarica femminile, che una volta esauritasi non può essere ripristinata in alcun modo, in alcuni casi l’azoospermia o la oligospermia sono condizioni temporanee e la spermatogenesi riprende spontaneamente nei mesi o negli anni successivi alla terapia. Secondo le ultime ricerche, i danni della chemioterapia sarebbero riparati dall’organismo nei due anni successivi ai trattamenti: per questo, in molti casi viene suggerito di attendere almeno 24 mesi prima di iniziare a cercare un figlio naturalmente. Esistono comunque dei casi in cui inon potranno più procreare a causa del danneggiamento irreversibile dei testicoli a opera della chemioterapia.

Gli effetti della radioterapia dipendono dalla zona di somministrazione e dal tipo di trattamento. Se la radioterapia è mirata direttamente ai testicoli o alle aree immediatamente circostanti possono verificarsi danni anche irreversibili: gli spermatogoni, le cellule che formano gli spermatozoi, sono  infatti molto sensibili agli effetti della radioterapia a dosaggi anche molto bassi.

Anche la radioterapia al cervello, però, può trasformarsi in una causa di infertilità: le radiazioni possono infatti causare danni alla ghiandola pituitaria, responsabile del rilascio degli ormoni LH e FSH, che sono necessari per la formazione degli spermatozoi e la produzione di testosterone.

>> Leggi anche – Crioconservazione: come congelare spermatozoi e liquido seminale <<

Tumori e fertilità maschile: come proteggersi?

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Per poter preservare le proprie capacità riproduttive prima di un trattamento oncologico è fondamentale che il paziente possa accedere rapidamente a un consulto con uno specialista per poter avere informazioni complete sulla relazione tra tumori e fertilità maschile e per potersi sottoporre a un trattamento di crioconservazione dei gameti.

Prima di iniziare le terapie che potranno inibire temporaneamente o compromettere irreparabilmente le sue capacità riproduttive, il paziente può infatti decidere di conservare presso apposite criobanche o centri di fertilità gli spermatozoi o il liquido seminale, che verranno trattati con crioprotettori e poi congelati in azoto liquido a -196°, per poter essere conservati a tempo indefinito e poter essere utilizzati per un successivo trattamento di fecondazione assistita.
La procedura deve essere fatta il prima possibile, nella finestra temporale tra la diagnosi e l’inizio delle terapie.

Che fare, però, quando il tumore o le terapie hanno già compromesso la fertilità? Nei casi in cui il paziente risulti azoospermico dopo i trattamenti oncologici e non ci siano segni di ripresa fisiologica, è possibile effettuare una procedura detta TESE, una biopsia testicolare per verificare se è possibile recuperare alcuni spermatozoi dal tessuto testicolare.

Se la spermatogenesi risulta irreversibilmente danneggiata, è possibile effettuare un percorso di procreazione assistita accedendo a un trattamento di fecondazione eterologa maschile: questo tipo di procedura, infatti, prevede l’impiego del liquido seminale di un donatore per fecondar gli ovuli della partner del paziente infertile.

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