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In un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA), l’obiettivo è quello di ottenere una gravidanza, cercando in tutti i modi di massimizzare l’efficacia di ogni ciclo di trattamento, onde evitare insuccessi ripetuti, continue stimolazioni e demoralizzazioni da parte della coppia. La fecondazione in vitro aiuta anche da questo punto di vista, grazie a sempre nuove ed efficaci procedure e tecnologie. Impiantare un embrione allo stadio di blastocisti è una di queste opportunità, come pure la crioconservazione o vitrificazione.

Transfer blastocisti congelate, successo, percentuali e casi

Cosa sono le blastocisti?

La blastocisti è un embrione che si è sviluppato fino a 5-6 giorni dopo il concepimento. E’ caratterizzata da un altissimo numero di cellule e da una maggiore predisposizione all’impianto in utero. E’ in questa fase inoltre che è possibile- laddove necessario- eseguire un’indagine preimpianto. Non tutti gli embrioni che vengono formati (sia in vitro che fisiologicamente) riescono a superare le prime fasi di sviluppo e a raggiungere lo stadio di blastocisti (solo il 35 %), per cui è facile comprendere che lungo questo percorso avviene una selezione naturale in favore degli embrioni più forti. Tutti questi motivi permettono un aumento delle percentuali di successo di gravidanza, evidenziato anche dalla letteratura scientifica, che salgono al 56 % contro il 30-35% rispetto ad embrioni di 2 o 3 giorni. Se si esegue un’indagine genetica preimpianto e si selezionano solo le blastocisti cromosomicamente sane il tasso può salire anche fino all’70%, con un unico impianto. Gli embrioni possono essere trasferiti in utero sia in questa fase evolutiva che prima, dopo 2 o 3 giorni dalla fecondazione. Preferire un transfer piuttosto che un altro dipende dal singolo caso, caratterizzato da numerosi fattori come le cause dell’infertilità, il numero di embrioni realizzati e la loro qualità, l’età materna ed eventuali altri percorsi di PMA falliti in precedenza.

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Perché congelare gli embrioni?

A fresco o crioconservati? Come è più opportuno impiantare gli embrioni? In passato si riteneva che trasferire in utero embrioni freschi fosse la scelta migliore in termini di successo e rischi per il bambino. Oggi sappiamo che non è più così. Grazie alle moderne tecnologie i risultati in termini di efficacia sono sovrapponibili tra le due metodiche e la crioconservazione o vitrificazione può essere preferibile in alcuni casi. Ad esempio è possibile utilizzare embrioni a fresco in un trattamento e conservare gli altri, ottenuti dalla fecondazione in vitro, nell’eventualità di un nuovo tentativo o un secondo figlio per evitare di ripetere una pesante stimolazione ovarica ed il prelievo degli ovociti. Gli embrioni in sovrannumero si possono conservare anche quando l’organismo di una donna non è pronto all’impianto per diverse motivazioni di tipo medico. E’ inoltre possibile crioconservare embrioni anche nel caso di cure mediche che possono essere pericolose in gravidanza o per la fertilità: i dati scientifici dimostrano che le percentuali di gravidanza da embrioni scongelati sono più alte rispetto ai casi in cui si impiegano ovuli crioconservati. Ma in cosa consiste la vitrificazione? In un congelamento rapidissimo che evita la formazione di cristalli di ghiaccio all’interno delle cellule e conseguenti eventuali danni. Per questo occorre affidarsi ad un centro per la fertilità qualificato. La sopravvivenza degli embrioni crioconservati è pari al 95%  ma questo dato può variare in base ad alcuni parametri, come l’età della paziente, la qualità degli embrioni crioconservati, ecc..

Testimonianze

I numeri e le percentuali dicono molto quando si sta per affrontare un percorso di fecondazione assistita, ma quello che maggiormente conta, specie nella scelta del centro di fertilità, sono spesso le testimonianze dirette, come quella di questa mamma che ha effettuato con successo il transfer di embrioni crioconservati:

“Venivo da una serie di stimolazioni non riuscite e da quattro ICSI andate tutte male. Un medico, non so se definirlo tale, mi aveva detto che se volevo dei figli l’unica possibilità era l’ovodonazione. Mi sono rivolta a lui quando ancora non ero sposata, mi ha fatto fare delle cure pesantissime, punture e tutto, per farmi arrivare la mestruazione solo perché avevo l’ovaio micropolicistico e un ciclo non ovulatorio. Poi sono stata in Svizzera, dove ho fatto l’ICSI e due transfer a distanza di qualche mese, ma non è andata. Allora ho deciso di cambiare, [….] ho cercato un’altra clinica vicino casa, ma anche lì, nonostante il prelievo ovocitario andasse bene, la coltura non andava oltre le 4 cellule. Ho fatto due volte il prelievo, due volte l’impianto e per due volte non è andata bene. A quel punto ho detto: basta, non faccio più niente, non ne voglio più sapere. Ero demoralizzata al massimo. Poi, viste le insistenze di mio suocero sono venuta a Raprui dove ho deciso di riprovare. Già quando sono entrata, a pelle, il clima e l’ambiente mi sono molto piaciuti, in altre cliniche non è così, sono molto distaccati, lì c’era proprio un’aria calda da subito.
Ho fatto la visita con il Prof. Cerusico e la prima cosa che mi ha detto è stata «qui tu diventi mamma», questa è stata la sua prima parola. Io ho detto «speriamo», ma non ero molto convinta”.

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