Cosa si intende di preciso con il termine “poliabortività”? Quali sono le cause e le indagini diagnostiche per identificarle? C’è alla base un problema di fertilità? E quali soluzioni ci sono? Quando, in seguito ad un secondo o terzo aborto spontaneo, lo specialista fa riferimento alla poliabortività, nella coppia e soprattutto nella donna tutte queste domande nascono spontanee, attivando un notevole stato d’ansia. In realtà, nella maggioranza dei casi si riuscirà a portare a termine una gravidanza in modo naturale, ma ciò non significa trascurare il problema: occorre capire bene se si tratta di eventi fisiologici o se c’è un disturbo latente che li provoca.
Poliabortività definizione
Si parla di poliabortività quando una donna ha due o più perdite cliniche di gravidanza, ovvero aborti spontanei, dopo un test positivo, entro la ventesima settimana di gestazione e con un feto del peso di meno di 500 grammi. Tale definizione non è comunque univoca a livello internazionale, per cui in Italia si fa riferimento ad eventi di interruzione involontaria di gravidanza prima delle 25 settimane e 5 giorni. Ciò provoca delle difficoltà a stabilire delle statistiche precise, anche in considerazione del fatto che spesso fisiologicamente si sviluppano aborti spontanei prima ancora di aver effettuato il test ed essere certi della positività. In media si considera comunque che solo il 5 % ha 2 o più aborti ricorrenti (consecutivi o meno) e solo l’1% più di 3, secondo i dati ACOG (American College of Obstetricians and Gynecologists). Si tratta dunque di eventi rari, che devono destare la giusta attenzione, ma non troppa preoccupazione: circa due terzi delle donne con poliabortività riescono a portare a termine una gravidanza in modo semplice e senza trattamento. In alcuni casi questo può essere invece necessario, ma è opportuno che ci sia una diagnosi precisa per intervenire.
Poliabortività, le cause
Nella maggioranza dei casi gli aborti spontanei sono provocati da anomalie genetiche dell’embrione, tendenzialmente cromosomiche. Di solito si tratta di mutazioni casuali: è raro che si ripetano, ma non è da escludere. Quando la perdita del feto è ricorrente occorre indagarne la causa. Non sempre è identificabile, tuttavia, queste sono le più comuni:
- Anomalie genetiche: oltre quelle casuali, si può essere in presenza di una traslocazione o di altre anomalie nel corredo cromosomico della coppia.
- Anomalie della cavità uterina: come la presenza di un utero setto, malformazione congenita che può essere incompatibile con l’attecchimento e / o lo sviluppo dell’embrione.
- Trombofilia: condizione medica predisponente di trombosi venose profonde, che se si sviluppano a livello placentare possono indurre alla perdita del bambino.
- Disturbi del sistema endocrino: le donne affette da ipotiroidismo hanno un rischio maggiore di avere aborti ricorrenti; da non trascurare neppure il ruolo dell’iperprolattinemia, della scarsa produzione di progesterone ed il diabete trascurato (che può indurre malformazioni fetali incompatibili con la vita).
- Malattie autoimmuni o alloimmunità: le cellule fetali possono essere individuate dal sistema immunitario materno come estranee e dunque essere rifiutate dall’organismo.
Non vanno poi trascurati altri importanti fattori di rischio per il proseguo di una corretta gravidanza. L’età della futura mamma ad esempio è determinante nel rischio di poliabortività: in relazione alla maggiore incidenza di anomalie cromosomiche dopo i 35 anni ed ancora di più dopo i 40, le percentuali di aborto ricorrente aumentano significativamente. Anche il fumo di sigaretta può interferire sullo sviluppo dell’embrione direttamente ed indirettamente attraverso la riduzione di produzione di progesterone. Alcuni studi hanno evidenziato come il consumo di alcool seppur in quantità moderate e più di tre caffè al giorno siano correlati ad aborti spontanei.
Poliabortività, quali indagini diagnostiche?
Dopo 3 aborti spontanei anche non consecutivi lo specialista può suggerire di effettuare alcuni test, per indagare se esiste una causa specifica. Fondamentale in tal senso è l’anamnesi della donna, il numero delle gravidanze avute, quelle perse e quelle portate a termine. Di solito si procede poi con un esame pelvico ed in base al sospetto diagnostico o andando per esclusione possono essere consigliate altre indagini, come le seguenti:
- Test del cariotipo (per escludere o confermare anomalie cromosomiche)
- Ecografia o preferibilmente un’isterosalpingografia per valutare la presenza di un problema uterino come l’utero setto
- Analisi del sangue per identificare problemi autoimmuni o ormonali
- In caso di raschiamento, o comunque in presenza di tessuti fetali espulsi con l’aborto, talvolta può essere utile anche un test genetico su questi.
In media il 50% delle donne arriva ad una diagnosi chiara circa le cause su cui spesso si può intervenire.
Poliabortività, quali soluzioni e terapie
Non sempre in caso di aborti ricorrenti è necessario sottoporsi a trattamenti: anche dopo 3 eventi negativi consecutivi, le possibilità di portare la gravidanza a termine sono molto alte, fino all’80%. Tuttavia la perdita di un bambino, anche se in fase molto precoce, può essere emotivamente devastante e non mancano i casi in cui una terapia è necessaria. La chirurgia, ad esempio, può essere risolutrice dell’utero setto così come di altre anomalie uterine; i farmaci possono aiutare a gestire patologie come il diabete, disturbi della coagulazione ed eventuali alterazioni endocrine, mentre possono essere utili integratori di progesterone in altre situazioni; in caso di traslocazione cromosomica invece può essere necessario in taluni casi sottoporsi ad un percorso di fecondazione in vitro con diagnosi preimpianto. Sempre e comunque, tra le soluzioni migliori ci sono le modifiche allo stile di vita, con l’abbandono di sigarette, superalcolici ed eccessive quantità di caffeina, così come il mantenere una sana alimentazione con un peso adeguato.