Quando si parla di fecondazione assistita spesso si pensa anche al rischio di tumore per la madre. Cosa c’è di vero? Da quando la medicina riproduttiva si è sviluppata è passato molto tempo. Le tecniche si sono evolute ed i rischi connessi sono anche contestualmente diminuiti. Soprattutto però gli studi scientifici atti ad analizzare eventuali effetti collaterali di queste terapie si sono moltiplicati avvalendosi anche di risultati sul lungo termine. Cosa dicono? Scopriamolo insieme in questa piccola guida esplicativa.
Fecondazione assistita e rischio tumore: la stimolazione ovarica
Quando si parla di Fecondazione o Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), si fa riferimento ad una serie di procedure finalizzate ad aiutare una coppia infertile a concepire e mettere al mondo un bambino. Si parla essenzialmente di IUI (Inseminazione Intra Uterina), FIV o FIVET ed ICSI, ma ne esistono anche altre. Il rischio di tumore è stato per lungo tempo associato ad una parte essenziale di queste (non sempre necessaria nella IUI): ed è la stimolazione ovarica. Questa, infatti, prevede l’uso di farmaci ormonali necessari a sollecitare la risposta di produzione di uno o più ovuli da parte delle ovaie. La preoccupazione ha sempre riguardato i potenziali effetti collaterali a lungo termine, di tali dosi di ormoni, incluso il pericolo di sviluppare tumori.
Quali farmaci si usano per la stimolazione ovarica, i dosaggi e come agiscono
Nella fecondazione assistita, uno dei passaggi più cruciali è la stimolazione ovarica, che si ottiene attraverso l’uso di farmaci specifici. I più comuni sono:
- Clomifene Citrato: impiegato nelle fasi iniziali per indurre l’ovulazione. Stimola la ghiandola pituitaria a rilasciare ormoni che, a loro volta, inducono l’ovaio a produrre ovuli maturi. Solitamente viene somministrato in dosaggi variabili tra 50 e 150 mg al giorno per 5 giorni.
- Gonadotropine: sono ormoni che stimolano direttamente l’ovaio a produrre più ovociti. Si utilizzano principalmente le gonadotropine umane (hMG) e la gonadotropina corionica umana (hCG). I dosaggi dipendono dalla risposta ovarica della paziente e possono variare tra 75 UI e 450 UI giornalieri.
- Agonisti e antagonisti del GnRH: regolano l’azione dell’ormone gonadotropina, controllando la fase di stimolazione ovarica per evitare un’ovulazione precoce.
L’obiettivo di tale terapia è quello di aumentare il numero di follicoli maturi per migliorare le probabilità di successo del trattamento: più ovuli vengono prodotti, maggiore è il potenziale numero di embrioni da ottenere in vitro, con un solo ciclo. Tuttavia, queste stimolazioni ormonali intensive possono portare a squilibri nell’organismo, e alcune donne manifestano sintomi come gonfiore addominale e sbalzi d’umore. Un grande pericolo è quello dell’iperstimolazione ovarica, che però è scongiurato se ci si affida a mani esperte e si eseguono i controlli prestabiliti. La preoccupazione che da tempo attanaglia le donne risiede comunque nel fatto che questi farmaci possono influenzare il tessuto mammario e l’endometrio, aree sensibili agli ormoni, innescando sul lungo termine l’insorgenza dei tumori.
Fecondazione assistita e tumori, cosa dicono gli studi scientifici?
Numerosi studi sono stati condotti per esaminare la relazione tra i farmaci per la fecondazione assistita e il rischio di tumori, in particolare al seno, alle ovaie e all’endometrio. I risultati non sono sempre stati concordi, ma la maggioranza dei dati suggeriscono che non esiste un aumento significativo del rischio di sviluppare tumori correlato ai trattamenti di PMA. Un ampio studio pubblicato dall’AIRC (Associazione Italiana Ricerca sul Cancro) ad esempio afferma che, analizzando diverse coorti di donne sottoposte a fecondazione assistita, non è emersa una correlazione diretta tra l’uso di farmaci per la stimolazione ovarica e un aumento del rischio di tumore al seno o all’ovaio. Altri studi confermano che, nonostante le dosi elevate di estrogeni e altri ormoni, il rischio complessivo di cancro nelle donne trattate con PMA non è superiore rispetto a quello della popolazione generale. Altri lavori, come quello della Fondazione Veronesi, sottolineano che, sebbene non esista una prova conclusiva, sussiste un rischio per le donne con predisposizione genetica al tumore al seno ed in questi casi la stimolazione ovarica potrebbe accelerare un processo maligno già in corso. Tuttavia, per la maggior parte delle pazienti senza fattori di rischio preesistenti, i trattamenti di fecondazione assistita sono considerati sicuri.
Dunque, le cure per l’infertilità fanno venire il cancro?
La risposta breve è no, non esistono prove scientifiche definitive che colleghino direttamente i trattamenti per la fecondazione assistita con un aumento del rischio di cancro. La maggior parte degli studi finora condotti non ha riscontrato un incremento significativo dell’incidenza di tumori in donne sottoposte a PMA rispetto alla popolazione generale. Tuttavia, è importante notare che la questione non è completamente risolta. Alcuni esperti suggeriscono che l’effetto a lungo termine dei farmaci potrebbe non essere ancora completamente conosciuto, soprattutto nelle donne con familiarità a certi tipi di tumore ormono- sensibile. Semplicemente per tali pazienti attualmente si agisce con maggiore cautela, valutando attentamente i rischi ed i benefici. L’importante è sempre affidarsi a centri per la fertilità certificati e qualificati come Raprui.