La ricerca di un figlio rispetto al passato avviene più avanti negli anni perché spesso ci sono delle difficoltà oggettive ad avviare una carriera lavorativa e quindi a sostenere economicamente una famiglia con le spese di una casa. Ciò significa purtroppo che quando si comincia a cercare una gravidanza spesso si è già grandi e se ci sono problemi di fertilità si rischia di arrivare alla procreazione medicalmente assistita sul limite d’età stabilito dalla legge. Ma quale è l’età massima per poter accedere alla fecondazione assistita? La risposta a tale quesito non è semplice. Ecco cosa occorre sapere al riguardo.
Fecondazione assistita e limiti d’età stabiliti dalla Legge 40
La fecondazione assistita nel nostro Paese è regolamentata dalla Legge 40 e dalle sue successive modifiche (che ad esempio hanno introdotto l’eterologa, ovvero la possibilità di ricorrere a gameti donati). Tale normativa stabilisce che possano accedere alle tecniche di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) esclusivamente
“coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Se ne evince che non esiste un limite anagrafico in tal senso stabilito dal legislatore, in quanto -giustamente- occorre valutare i singoli casi dal punto di vista biologico, ovvero dalle cause di infertilità. Questo è un bene dunque, ma genera confusione. In realtà infatti per ciò che riguarda la PMA nel servizio sanitario nazionale, le Regioni, competenti in materia di salute, hanno stabilito dei “paletti anagrafici”, in modo diverso ed indipendente, ovviamente per motivi di budget. Capita così che in Veneto si possa ricorrere alla PMA presso una struttura pubblica anche fino ai 50 anni, in Campania fino ai 46, in Lombardia e nel Lazio 43 (che è anche l’età media suggerita dalla Conferenza delle Regioni al riguardo). Rimane il problema delle lunghissime liste d’attesa che possono portare anche fuori dal limite prestabilito. Questo non accade nei centri privati che invece possono liberamente valutare i fattori biologici ed in genere, dopo un’accurata diagnosi, avviano la coppia al trattamento di PMA più idoneo, con estrema rapidità rispetto alla prima visita. Tuttavia l’età anagrafica incide sul successo delle procedure. Il “potenzialmente fertile” del legislatore ha per questo un’ulteriore ragion d’essere.
Fecondazione assistita e limiti d’età biologici
Anche se le tecniche di fecondazione assistita sono ormai diventate particolarmente sofisticate ed efficaci, queste non possono sopperire del tutto al declino naturale della fertilità e dell’organismo che si manifesta con il passare degli anni. Nelle donne la “finestra fertile” è limitata e si conclude con la menopausa, momento in cui il numero di ovociti disponibili sin dalla nascita si azzera. Nello specifico, fino ai 30 anni circa si è nel pieno della fertilità, poi con gradualità il numero degli ovociti inizia a diminuire, per accelerare in negativo dopo i 37-40 anni. Non solo: anche i gameti invecchiano, come il resto dell’organismo e quindi possono non essere idonei al concepimento o all’avanzamento della gravidanza, con aborti spontanei e/o un aumento del rischio di malattie genetiche come la trisomia 21 (sindrome di Down). Senza contare che l’età avanzata può comportare anche patologie diverse per la donna, come la presenza di fibromi, sindromi metaboliche, malattie oncologiche, eccetera, che possono complicare la situazione e la gravidanza. Ciò significa che l’ovodonazione (da donna giovane) può risolvere le problematiche legate all’ovulazione, ma non altre, per cui con l’aumentare dell’età -specialmente dopo i 50 anni- diminuiscono le percentuali di successo delle tecniche di PMA (che rimangono comunque alte). A differenza di ciò che si crede pure l’età dell’uomo può influire sulla fertilità, seppur in modo minore: con il passare degli anni diminuisce sia la quantità che la qualità degli spermatozoi ed aumenta il rischio di trasmissione di anomalie genetiche. Anche in questo caso la soluzione potrebbe essere una donazione di gameti maschili.