Abbiamo visto quanto la consulenza psicologica nella PMA sia un momento di riflessione importantissimo per le coppie che decidono di intraprendere la strada della fecondazione assistita.
Oggi torniamo a parlare con la Dott.ssa Laura Canulla, psicologa e psicoterapeuta che segue i pazienti del Centro Raprui e vediamo insieme quali possono sono le principali criticità di questo percorso e come la consulenza psicologica possa aiutare ad affrontarle.
Quali sono le maggiori criticità in un percorso di PMA?
Quelle più concrete sono legate all’età. In molti casi le coppie sono consapevoli che il tempo biologico stia terminando o sia già terminato e il tempo delle bio-tecnologie rappresenti per loro una nuova occasione. Nonostante ciò sentono gravare su di loro il peso del ticchettio del tempo che fugge…
Ci possono essere poi criticità legate al funzionamento di personalità – e mi riferisco a quadri psicopatologici che, qualora riscontrati, ho la responsabilità di segnalare – criticità legate a situazioni che la coppia vive, complicazioni economiche e/o familiari, come nei casi delle “famiglie allargate” o delle “nuove forme di famiglia”, che riguardano e coinvolgono figli di relazioni precedenti, minori o anche adulti, che possono non condividere la scelta del genitore. Tutto questo può arricchire ma anche rendere più complesse le dinamiche relazionali e affettive tra i diversi interlocutori. A volte è importante interrogarsi sulla tutela dei diritti del bambino “immaginato”.
Spesso le coppie che si sottopongono alla PMA lamentano di sentirsi sole e abbandonate. In che modo la consulenza “psi” può aiutarle?
Dividiamo la consulenza psicologica nella PMA in tre momenti – pre consulenza, consulenza vera e propria e post consulenza; in un primo momento la coppia si può sentire sola e disorientata e ha bisogno di potersi affidare ai professionisti. Sembra banale ma “affidarsi” non è sinonimo di “fidarsi”; affidarsi prevede un altro assetto mentale. Per affidarsi è necessario abbassare le difese e e sgomberare la mente da meccanismi di rigidità che possono diventare ossessivi. Ci si può ostinare a voler controllare tutto. La consulenza psicologica si pone proprio come lavoro sull’affidarsi, lasciando libera la coppia di dedicarsi liberamente e lucidamente alla PMA e a quello che rappresenta per chi la compone.
Credo che, quando ha voluto sottolineare gli aspetti di solitudine e di abbandono della coppia, abbia voluto far riferimento al vissuto di sentirsi un po’ come fatti a fettine e messi al microscopio, quando gli aspetti tecnici del percorso premono troppo su quelli spontaneamente emotivi. Il lavoro della consulenza permette di dialogare continuamente su questo doppio binario senza risentirne troppo.
Infine, si lavora anche sull’affidarsi come predisposizione ad un cambiamento interno nella mente della coppia senza dimenticare che siamo “corpo e mente” e che gli aspetti emotivi incidono su quelli corporei e viceversa. In tal senso, la consulenza psicologica favorisce il lavoro sulla dimensione psicosomatica della donna (utero come nido che accoglie).
In che modo un percorso di fecondazione assistita può influenzare il rapporto di coppia?
La parte femminile della coppia vive gli spetti legati alle terapie farmacologiche e preparative sulla sua pelle, di fronte a questo la parte maschile può sentirsi in colpa. Le dinamiche possono essere le più diverse, dipende anche da chi dipende la problematica riproduttiva.
Si arriva a scegliere la PMA in coppia ma attraverso due strade individuali diverse. Entrambi comunque ritrovano in questa scelta un momento di ricchezza. A volte si possono incontrare momenti di criticità che paradossalmente possono allontanare la coppia mandandola in crisi. Si arriva, ripeto, da storie individuali differenti, c’è chi può avere più paura dell’altro, o con meccanismi di difesa in atto diversi, si può essere più o meno consapevoli, quindi ci si può sentire assolutamente disorientati.
Si può vivere una sensazione di estraneità rispetto all’esperienza tanto desiderata o rispetto al bambino immaginario, che nell’eterologa è più frequente. A livello psicologico ci si può sentire molto spaventati e inadeguati. Ci rendiamo conto quanto, soprattutto in questi casi, fare un lavoro di elaborazione sia necessario, o prima o dopo. Meglio prima, meglio la prevenzione!
A proposito di eterologa, quali sono gli aspetti da valutare legati a questa scelta?
Innanzitutto ci possono essere delle criticità rispetto al vissuto di estraneità provato nei confronti della cellula “donata”; spesso questo senso di estraneità, non elaborato può essere spostato sul bambino che verrà. “Magari non mi assomiglierà”, oppure “non sarà tanto intelligente”, o ancora “può nascondere difficoltà genetiche che non possiamo prevedere”…sono alcune tra le paure riferite dalle coppie che si mischiano con le ansie che sono di ogni coppia che va incontro alla genitorialità.
C’è poi all’interno dell’eterologa una paura specifica legata al “raccontare”: dirlo o non dirlo al bambino? Raccontare agli amici e ai parenti o non raccontare? Io credo che sia importante riflettere su quanto questa rappresenti una dimensione profondamente intima della coppia che deve poter scegliere liberamente se comunicare o non comunicare. A volte – e dipende dalle situazioni ovviamente – è meglio non comunicare se farlo vuol dire aumentare i fattori di ansia, di giudizio, nocivi per la preparazione psico-somatica del “nido”, l’utero della donna.
Rispetto al bambino la coppia deve sentirsi libera di raccontare a lui/lei bambino la sua storia. Questo è un tema che le coppia sentono molto e richiedono all’interno della consulenza psicologica nella PMA un momento dedicato alla riflessione condivisa in questo senso. Consiglio di rispettare il bambino nei suoi tempi di comprensione : non si può pensare di raccontare questa esperienza ad un bambino di 8 anni, ad esempio, si deve attendere che abbia la capacità di poterlo fare, magari quando sarà adolescente. Ma il figlio va rispettato anche nelle sue peculiarità: non possiamo sapere che adolescente diventerà, se sarà sensibile o vulnerabile. Si dovrebbe avere l’accortezza di valutare caso per caso quanto questa comunicazione potrebbe turbarlo o quanto all’opposto potrebbe arricchirlo.
Quante coppie richiedono spontaneamente la consulenza psicologica nella PMA?
Spontaneamente per la mia esperienza ancora troppo poche. Ancora si ha troppa paura di quello che non si conosce e rimane il pregiudizio della consulenza psicologica come qualcosa che riguarda solo le psicopatologie gravi.
A volte la diffidenza nell’affrontare questo percorso può venire dalla paura di assumersi una grande responsabilità nei confronti del proprio partner, perchè l’incontro di consulenza è occasione di mettersi in discussione e guardarsi dentro. Può capitare che tra partner ci si possa nascondere qualcosa, allora la consulenza potrebbe essere temuta perchè occasione di svelare in non detto, qualcosa che non ci si sente pronti ad affrontare individualmente, figuriamoci in coppia. Altre volte invece è bellissimo potersi rendere conto di quanto, nella consulenza psicologica nella PMA, bisogna prendersi cura responsabilmente degli affetti, dei desideri e delle paure dell’altro.
Il percorso di PMA non si può fare se è uno solo che tira e l’altro si sente tirato. Non è corretto! La coppia deve potersi rendere conto di questo. Prima di tutto il “figlio” da accudire, quello metaforico, è la coppia stessa. La coppia forma una dimensione che è altra rispetto ai due individui che la compongono e la scelta di “con”-dividere l’esperienza della genitorialità rappresenta già “il terzo”. Prima di tutto bisogna prendersi cura di questo aspetto terzo, il desiderio di diventare genitori: come ci si arriva? chi è che spinge di più? Vi state rispettando tutti e due? Avete sviscerato le paure? Cosa si può nasconder dietro a delle difficoltà?
Dopodichè si arriva insieme all’altro passo: la PMA.