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Infertilità maschile

La fertilità dell’uomo è il risultato di una serie di processi fisiologici mirati alla produzione e al trasporto di spermatozoi mobili normoconformati fino all’incontro con l’ovulo all’interno delle vie genitali femminili.
Il fattore maschile può essere ritenuto l’unico responsabile in circa il 30% dei casi di infertilità di coppia, mentre in un altro 20% dei casi contribuisce alle difficoltà riproduttive insieme al fattore femminile.

In base alle cause di insorgenza l’infertilità maschile può essere distinta in:

Congenita

  • Cause Genetiche
  • Cause anatomiche

Acquisita

  • Cause vascolari
  • Cause flogistiche
  • Patologie sistemiche
  • Disordini ormonali
  • Cause ambientali
  • Cause Iatrogene
  • Cause Immunologiche

Per cause congenite si intendono condizioni anatomiche o genetiche presenti al momento della nascita. Nel primo caso possiamo menzionare il criptorchidismo (mancata discesa nei testicoli all’interno della sacca scrotale per rimanere posizionati in sede inguinale) e l’ostruzione o assenza completa o di una porzione dei condotti che portano gli spermatozoi verso l’esterno (la cosiddetta “agenesia” dei deferenti o dell’epididimo).

Per quanto riguarda le cause genetiche, tra di esse è piuttosto frequente (6-7% degli uomini infertili) la sindrome di Klinefelter (corredo cromosomico dell’uomo affetto 47,XXY anziché 46,XY) che determina una grave alterazione del processo di formazione degli spermatozoi con riscontro di severa oligospermia fino all’azoospermia (vedi descrizione successiva).

Ricordiamo inoltre le mutazioni del cromosoma Y, cui è riconosciuto un ruolo importante in ambito di fertilità dovuto al riscontro di difetti nella spermatogenesi o azoospermia in soggetti che presentano delezioni in corrispondenza di una specifica regione del cromosoma Y detta AZF.

La causa dell’infertilità rimane spesso sconosciuta anche perché la difficoltà riproduttiva si manifesta talvolta a notevole distanza rispetto all’insorgenza degli eventi patologici che l’hanno provocata.
Una delle principali cause acquisite di infertilità è il varicocele. Si tratta della dilatazione della rete venosa testicolare detto plesso pampiniforme, con conseguente aumento della temperatura testicolare, accumulo di metaboliti tossici e danno tissutale.

La frequenza di questa patologia negli uomini affetti da infertilità varia dal 20 al 40%. Gli effetti negativi sulla fertilità consistono nella riduzione del numero e della motilità degli spermatozoi, nonché nell’aumento delle forme anomale. Va comunque precisato che non tutti gli uomini affetti da varicocele presentano difficoltà riproduttive.
L’unico tipo di trattamento, il cui impiego va attentamente ponderato in base all’età del paziente, alla sintomatologia riferita ed al quadro seminale riscontrato, è quello chirurgico con legatura o sclerosi del plesso venoso dilatato.

Dopo il varicocele, l’altra causa più frequente di infertilità maschile (20-30% dei casi) è l’insorgenza di stati infiammatori acuti o cronici a carico del testicolo (orchite), dell’epididimo (epididimite), della prostata (prostatite) o dell’uretra (uretrite). A esclusione dei casi in cui la cronicizzazione o gravità del quadro flogistico abbiano comportato danni irreversibili al parenchima testicolare o alle vie seminali, i successi terapeutici di questo gruppo di affezioni sono brillanti, con recupero completo del potenziale riproduttivo.

Seguono le malattie sistemiche (5%), soprattutto il diabete mellito, l’ ipotiroidismo, il Morbo di Cushing, la cirrosi epatica e l’ ipertensione arteriosa. In questi casi, il danno alla fertilità può essere sia diretto che indiretto, provocato cioè dalla terapia farmacologica assunta per il trattamento delle patologie stesse.
Anche le neoplasie testicolari partecipano alla riduzione della fertilità direttamente o in conseguenza delle terapie chirurgiche, radianti o chemioterapiche (cause iatrogene).

Nell’ uomo gli spermatozoi sono isolati dalla barriera ematotesticolare. La rottura di questa barriera a livello dei tubuli seminiferi (piccoli dotti sede di produzione degli spermatozoi) per cause flogistiche,traumatiche o chirurgiche(vasectomia) può portare alla formazione di anticorpi antisperma. Questi anticorpi si legano alla superficie degli spermatozoi immobilizzandoli, facendoli aderire gli uni agli altri (agglutinazioni), riducendone la progressione oppure impedendo la normale interazione tra lo spermatozoo e l’ovulo.

I metodi attualmente più utilizzati per rilevare la presenza di questi anticorpi sulla superficie degli spermatozoi del paziente sono l’immuno bead binding test ed il MAR (mixed antiglobulin reaction) test che consentono di rilevare la tipologia ,la quantità e la sede di legame degli anticorpi antisperma. Entrambi questi test, opportunamente modificati, possono essere impiegati per rivelare la presenza di anticorpi antispermatozoo nel muco cervicale della donna.

Tra i fattori ambientali va innanzitutto considerato lo stress derivante dai ritmi poco “fisiologici” che caratterizzano oggi lo stile di vita. Risulta inoltre dannosa l’ esposizione cronica ad agenti tossici come radiazioni ionizzanti, sostanze chimiche, fumo, alcool e stupefacenti o l’esposizione prolungata a fonti di calore.
Infine vanno ricordati i disordini dell’eiaculazione (eiaculazione precoce) e i disturbi della funzione erettile (mancata erezione), condizioni spesso trascurate nell’anamnesi, causa di infertilità in circa il 5% dei casi che impediscono ai soggetti interessati di portare a termine un rapporto sessuale completo con rilascio degli spermatozoi nelle vie genitali femminili.

Il primo esame necessario allo studio dell’infertilità maschile è lo spermiogramma.

Del liquido seminale si analizzano:

  • il volume
  • la concentrazione degli spermatozoi
  • la motilità
  • la morfologia
  • l’eventuale presenza di agglutinazioni e globuli bianchi.

Attualmente, i parametri di riferimento del liquido seminale normale identificati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) consentono di individuare le seguenti problematiche:

  • Oligozoospermia (riduzione della concentrazione spermatica): < 15 milioni./ml
  • Teratozoospermia (alterazioni della morfologia spermatica): < 30% forme normali
  • Astenozoospermia (riduzione della motilità spermatica): < 50% motilita’ di cui almeno il 25% con progressione rapida entro 60 minuti dall’eiaculazione
  • Azoospermia: assenza di spermatozoi nell’eiaculato
  • Criptozoospermia: rari spermatozoi nel sedimento visibili dopo centrifugazione

Oltre allo spermiogramma “classico” esiste una metodica diagnostica più innovativa per la valutazione morfologica del liquido seminale chiamata MSOME (Motile Sperm Organellar Morphology Examination), che consente la rilevazione di caratteristiche ultrastrutturali dello spermatozoo non evidenziabili con un comune spermiogramma. A tale scopo vengono presi in esame 150 spermatozoi per analizzarne le dimensioni e la morfologia con un sistema ad alto ingrandimento (6600x).

Tale metodica ci consente di effettuare una valutazione rigorosa:

1) delle dimensioni della testa, del collo e della coda dello spermatozoo che possono determinare alterazioni della velocità (fornita dal movimento del flagello), della direzione del movimento o della capacità dello spermatozoo di entrare in contatto con l’ovulo;

2) delle alterazioni morfologiche dell’ultrastruttura interna (testa, collo, coda), misconosciute allo spermiogramma classico (vescicole e vacuolizzazioni della testa, alterazioni dell’acrosoma) e talvolta presenti anche in spermatozoi dall’aspetto morfologicamente normale, che potrebbero essere causa della formazione di embrioni di qualità scadente, tali da causare il mancato attecchimento o un elevata insorgenza di aborti spontanei.

Questo tipo di indagine è indicata nei casi severi di oligoastenospermia e teratozoospermia, azoospermia ostruttiva, pazienti con precedenti fallimenti ICSI o storia clinica di poliabortività e qui in Italia è stato introdotta per la prima volta dal centro Raprui diretto dal Professor Severino Antinori a partire dal 2005 a seguito di una stretta collaborazione con l’equipe israeliana del Prof Bartoov che l’ha originariamente ideata e messa a punto.

Un ulteriore esame diagnostico di più recente introduzione è il test di fragmentazione degli spermatozoi.
Quando la percentuale degli spermatozoi fragmentati supera il 30% del campione analizzato,il paziente in esame mostra solitamente problemi di infertilità che possono evidenziarsi in: mancata fertilizzazione, produzione di embrioni anomali ed aumento della percentuale degli aborti spontanei. Quindi, in preparazione ad un ciclo di fecondazione assistita o in tutti i casi di ipofertilità, possono essere somministrate terapie antiossidanti a base di SOD (super ossido dismutasi), enzima che inattiva i radicali liberi prodotti dal metabolismo cellulare trasformandoli in perossido di idrogeno (acqua ossigenata), ridotto a sua volta in ossigeno ed acqua da altri enzimi. La terapia, della durata di tre-sei mesi, viene seguita da un ulteriore test per valutarne l’efficacia e programmare la strategia riproduttiva più indicata.

Le altre più comuni indagini eseguibili per lo studio della fertilità maschile sono: la spermiocoltura , l’ecografia testicolare e i dosaggi ormonali.
La spermiocoltura consente di verificare l’eventuale presenza di germi patogeni (Gonococco, L’Escherichia Coli, il Mycoplasma e Chlamydia Tracomatis), responsabili dell’insorgenza di infezioni che possono causare l’ostruzione dei vasi deferenti o dell’epididimo e danneggiare il testicolo. L’evidenza ecografica di alterazioni scrotali, prostatiche e peniene spesso rende manifeste patologie subcliniche con interferenza determinante sulla fertilità.

Ultimi ma non meno importanti degli esami precedenti sono i dosaggi ormonali, (FSH, LH, PROLATTINA e TESTOSTERONE libero). Il dosaggio dell’LH e dell’FSH in particolare consente di discriminare tra un deficit di spermatogenesi dovuto a un danno testicolare (LH ed FSH elevati) e un’alterata funzione del testicolo causata da un disordine ormonale (LH ed FSH bassi).

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